Ho passato l’inverno a leggere il re.
Non che avessi avuto molta scelta. Il porto sicuro te lo scegli per necessità nel momento in cui sei in bilico e non sai deciderti, se il dunque non arriva mai perchè si allontana sempre un po’ di piu’. Allora o scegli o cadi. Io scelgo il re. O l’arte. O quello che mi fa bellezza. O i testi che mi lacerano.
Questo periodo è tutto un fluttuare dentro e fuori. Il mondo fluttua sospeso, come se ad appoggiarsi da qualche lato si possa rischiare di prendere la scossa. Tanto la scossa la stiamo già prendendo. Mi sembra una scossa al contrario però: al posto di avere una scarica di adrenalina qui si sta assopendo tutto. C’è come una coltre di polvere che si ispessisce col passare del tempo e diventa grigia, la trama si consolida e l’inerzia trionfa. Le pessime notizie che squisitamente si fanno prepotenti ogni giorno danno solo lo shock iniziale. Poi diventano amalgama.
Di questo fluttuare se ne parlava anche tempo prima, anche in modo molto piu’ poetico e visionario. Ecco, da questo punto di vista Chagall è riuscito a creare dall’oblio dei soprusi subiti un sentire alto e fiabesco di forme, animali e uomini che altro non fanno che fluttuare. Ho visto la mostra col magone nel cuore perchè tutta quella bellezza mi mancava. L’aver trovato un punto fermo in tutto quel fluttuare non pensavo fosse possibile. Almeno per un paio d’ore è stato così. Il giorno dopo l’effetto è svanito.
Non abbiamo molti punti fermi. Ma vi prego, non toglieteli. Io non riesco ancora a trasformare il mio fluttuare in una capra che suona il violino.